Razzismo. Quando Ebrei e Stati Uniti se ne fregarono…
E’ il 10 agosto 1942..
Ore 6.28 p.m. Un telegramma parte da Ginevra diretto negli Stati Uniti. Fritz Bracht, Gauleiter dell’Alta Slesia (capo di sezione locale del Partito Nazista), rivela in segreto gli orrori di Auschwitz ad Eduard Schulte, ricco uomo d’affari ebreo, che non esita un solo istante ad informare Benjamin Sagalowitz, addetto stampa svizzero del World Jewish Congress(Conresso Ebraico Mondiale), che a sua volta informò il suo direttore, Gerhart Riegner.
Riegner resta inorridito dalle notizie apprese dal passaparola, e alle 18.28 del 10 agosto del 1942, invia questo telegramma a Stephen Wise, rappresentante del congresso ebraico negli Stati Uniti d’America.
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Nel quarto rigo si legge distintamente: “numbering 3 ½ to 4 millions should, after deportation and concentration in the East, be at one blow exterminated” – “Un numero di circa 3,5 o 4 milioni di ebrei, dopo la deportazione e la concentrazione ad Oriente, siano sterminati”.
Il telegramma non fu mai reso noto. Tra i tanti scettici, più di tutti il sottosegretario di stato americano Summer Welles, che blocca la pubblicazione del telegramma.
Il campanello di allarme, acceso nella prima settimana di un torrido agosto, si spegne. Gli Stati Uniti, né il resto del mondo, non muovono un dito .
Il popolo tedesco assiste alla chiusura degli ebrei nei ghetti. Le voci si spargono ed anche i sospetti, ma la propaganda televisiva e giornalistica sono più forti. Inizialmente i rastrellamenti avvengono solo di notte, ma a partire dal 22 luglio 1942, giorno di inizio del rastrellamento del ghetto di Varsavia, i “trasferimenti” (così le prime deportazioni vengono definite) si effettuano dalle ore 11. in pieno giorno. Ogni giorno i tedeschi guardano documentari che ritraggono la vita nel ghetto serena e confortevole. I sospetti troppo deboli e affievoliti delle voci svaniscono, ed il popolo tedesco non si cura di quanto accade oltre le alte mura di quei ghetti, che giorno dopo giorno si svuotano, versano nel degrado, subiscono continue incursioni delle forze militari. Non vengono allestiti ghetti in Germania o nell’Europa occidentale; proprio perché le condizioni culturali “sono ancora giudicate inadatte” e si teme di creare controproducenti reazioni negative nell’opinione pubblica.
I campanelli di allarme restano spenti. E la società non muove un dito.
La macchina dello sterminio viene costantemente mantenuta nella massima segretezza; sulla destinazione dei lunghi convogli ferroviari che da tutta Europa trasferiscono gli ebrei ad Est, la propaganda tace. A partire dal 21 settembre 1939 in ogni ghetto viene istituito il cosìddetto Judenrat – Il Consiglio Ebraico. Il Consiglio deve essere composto di 24 ebrei maschi (a seconda della dimensione della comunità ebraica), scelti tra le maggiori personalità e i rabbini.
Il Judenrat diviene responsabile dell’esatta esecuzione, conformemente ai termini stabiliti, di tutte le istruzioni impartite o che verranno in futuro stabilite dalle autorità di occupazione tedesca.
Nonostante le brutali condizioni di vita, la “collaborazione” con le autorità naziste sembra a tutti il modo migliore di “limitare” i danni. Ci si illude che l’interesse maggiore dei nazisti sia quello di uno sfruttamento intensivo della manodopera ebraica per le finalità belliche.
Ben presto tuttavia le autorità ebraiche di autogoverno si trovano di fronte a scelte impossibili, quando si inizia a richiedere loro di stilare le liste dei deportati. Trovandosi così a decidere chi inviare alla morte, ma anche sperando di poter dare una qualche opportunità ai più giovani e ai bambini.
Cosa vuol dire Memoria? Dedicarle una sola giornata all’anno? Seguire i documentari, guardare le scene dei deportati, guardare “Schindler’s List, Il Pianista, Il bambino col pigiama a righe, La vita è bella”? E dopo essersi asciugati le lacrime, alzarsi dal divano e sentire di avere onorato il “dovere della memoria”?
Chissà, forse la Memoria potrebbe andare oltre tutto questo, diventando una pratica quotidiana. Ricordarsi di ricordare, non solo l’olocausto, ma soprattutto come è potuto accadere.
Ricordarsi di ricordare dei pericoli della deriva di una società:
- il fanatismo partitico.
- il linguaggio politico arrogante, violento, di odio, verso chi è diverso, non per la pelle ma per le idee.
- la pericolosissima alterazione delle parole: ebreo, immigrato, comunista, magistrato, sindacalista, liberista, destra e sinistra, che assurdamente diventano insulti, focolai di distacco e tensioni tra i cittadini di uno stesso Paese.
Ricordarsi di ricordare che complotto non è una parola tabù, ma una minaccia costante e mai stata debellata. I complotti, le macchinazioni di progetti decennali, hanno come obiettivo sempre il peggiore degli orrori: l’innesto di idee in un popolo, riducendolo in “fazioni”. Ebrei ed ariani. Destra e sinistra. Nord e sud. Stranieri e nativi nazionli.
Chissà… forse,Ricordarsi di ricordare aiuterebbe a vivere in uno Stato di grande civiltà, rispetto per il comune, per il diverso, facendo attenzione ai contenuti, non a come ci vengono raccontati. Ma oggi, guardandosi intorno, si fa sempre più forte la sensazione di una società che si guarda allo specchio e vede ancora un mostro, vecchio di oltre 70 anni. Un mostro senza Memoria, o che dimentica troppo facilmente.
Marco Giordano
Foto telegramma direct: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/db/Riegner_Telegram.jpg
Fonti ufficiali
United States Holocaust Memorial Museum (USHMM) – Museo Ufficiale dell’Olocausto degli Stati Uniti d’America
national archives: http://www.flickr.com/photos/nationalarchives/7751738690/
Catalogue Reference: FO 371/30917 http://discovery.nationalarchives.gov.uk/SearchUI/Details?uri=C2788141
National Archivies UK – seconda guerra mondiale: http://www.flickr.com/photos/nationalarchives/with/7751738690/#photo_7751738690