Licenziato “perché non avevo il fuoco dentro”
Fabio T. è un giovane salernitano di 31 anni, laureato in Lingue, sia alla triennale che alla specialistica, in traduzione tecnica. È stato uno dei primi assunti grazie al Jobs Act, ed anche il primo che ne ha subito le conseguenze. Il 2 luglio del 2014 viene assunto da una grande azienda, con oltre 80 dipendenti, attiva nel campo del marketing turistico per il settore alberghiero, per la realizzazione di newsletter, campagne comunicative accattivanti, ogni genere di forma promozionale.
«In realtà – spiega – io venivo da un percorso accademico diverso, sono laureato in traduzione tecnica, e loro lo sapevano, ma nel mio ruolo specifico mi si chiedeva di avere vere e proprie competenze di marketing. Era una grande opportunità, con un primo contratto a termine di un anno, con rinnovo, con quella che credevo una grande azienda: non potevo di certo tirarmi indietro».
Così Fabio si rimbocca le maniche e i risultati iniziano a vedersi. Dopo le prime due settimane di lavoro arrivano le lodi da colleghi e amministrazione, Fabio in poco tempo si specializza nella redazione di testi accattivanti per le newsletter e per materiale informativo sugli hotel clienti dell’azienda. «Sono stato inserito in un apposito team composto in tutto da dieci persone, tutti giovani laureati in diversi rami – racconta ancora Fabio – ma nonostante ciò, abbiamo sempre lavorato con incredibile affiatamento».
Dall’inserimento nel gruppo e da un soddisfacente colloquio col suo capo, passano solo altri 25 giorni, dopo i quali Fabio riceve una telefonata.
«Era la coordinatrice del mio team, si limitava a dirmi che il percorso lavorativo era finito perché, disse, “ti manca il fuoco dentro”».
La prima cosa che Fabio pensa è: «che razza di motivazione è questa? Mi ero inserito nel team, il mio lavoro fruttava, ma allo stesso tempo era passato così poco tempo».
Dopo 60 giorni contati di lavoro, Fabio riceve la lettera di licenziamento, senza motivazione, interrogandosi ancora su quella telefonata e dalla sua mancata somiglianza ad una Fenice. «Avevo firmato finalmente un contratto con un buono stipendio, 13esima e 14esima, ferie, contributi, durava almeno 1 anno di prova con rinnovo, ero andato via da casa e contratto affitto, acquistando già una lavatrice, una televisione e un divano».
Fabio ci aveva provato a investire tutto, nonostante quella incombente “flessibilità”, che tutti ormai millantano come normalità necessaria ai tempi che corrono. Ma la sua corsa è finita contro il muro di gomma del Jobs Act, sul quale rimbalzano il danno e la beffa, con un contratto fruttato all’azienda agevolazioni per un rapporto a termine annuale rinnovabile, finito in realtà dopo due mesi perché a Fabio “mancava il fuoco dentro”.
«Sto tentando da tre anni anche altri colloqui all’estero – racconta ora – ma se la situazione presto non cambierà credo anche che sarò costretto ad abbandonare definitivamente il mio settore, la mia passione, tutto ciò per cui ho anche studiato e fatto sacrifici e sul quale avevo investito, per guardare anche ad altro».
Marco Giordano
Articolo pubblicato su SalernoSera.it in data 3 dicembre 2018.