Referendum Stop Trivelle 17 aprile 2016: per cosa abbiamo votato?
Domenica 17 aprile 2016, dalle 7 alle 23, i cittadini italiani hanno votato per il referendum abrogativo da tutti conosciuto come “Referendum Stop Trivelle”.
Per cosa si votava?
Per l’abrogazione (cioe’ la cancellazione) del comma 17 art. 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152. CIOE’? La norma vigente in Italia che disciplina la possibilita’ da parte delle aziende di cercare, trovare e trivellare giacimenti di gas e petrolio nei mari italiani.
Votare SI o NO?
Il quesito referendario sulle schede di domenica 17 aprile 2016 era il seguente:
– Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile delgiacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”? –
Votare SI = cancellava la legge
Votare NO = la legge restava com’è
Cosa ci chiedevano di cancellare?
L’articolo 6 fa parte del Decreto Legislativo 152/2006 – “Norme in materia ambientale” che già vieta esplicitamente attività estrattive, definite dallo stesso Governo Italiano, ed anche su indicazione dell’Europa, come un rischio per l’ambiente e per l’ecosistema. Infatti il testo intero dell’articolo dice esattamente:
“Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtu’ di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell’Unione europea e internazionali sono vietate le attivita’ di ricerca, di prospezione nonche’ di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare. Il divieto e’ altresi’ stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi gia’ rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale” .
(le parole in grassetto sono le uniche inserite nel quesito del referendum del 17 aprile) (qui la fonte ufficiale del Governo)
IN PRATICA: la legge italiana già riconosce ufficialmente i fattori di inquinamento e di rischio per l’ambiente e l’intero ecosistema legato alle estrazioni petrolifere, vietandone proprio per questa ragione la nascita di nuove.
Ma allora perché il referendum?
Poi però, con l’ultima frase di sole due righe (la stessa legge) tutela le attività già esistenti, dicendo che le piattaforme attive (a cui già è stato rilasciato il permesso) possono continuare la propria attività, fino ad esaurimento del giacimento. L’eccezione vale per tutte le piattaforme, anche per quelle (che si trovano nelle righe precedenti dell’articolo 6) situate a meno di 12 miglia dalla costa. Un miglio equivale a 1,609 Km, questo vuol dire che tutte le piattaforme petrolifere a meno di 12 miglia dalla costa, distano dalle spiagge meno di 19 km e mezzo.
Praticamente ci era stato chiesto di votare per una cosa di cui la legge già riconosce tutti gli effetti nocivi su sistema ambientale e popolazione. Una legge che allo stesso tempo riconosce poi uno “strappo alla regola” per chi ormai già effettua le attività di trivellazione ed estrazione. Messa così la questione, forse il risultato del referendum sarebbe stato scontato. E invece…
Marco Giordano