Genova. Ponte Morandi: teatro della realtà
Sto seguendo i funerali di Genova in diretta tv sulla Rai. Oggi, 18 agosto 2018, vorrei cogliere l’occasione del silenzio che finalmente è calato su tutta questa vicenda, dopo 96 ore di un teatrino senza fine, in cui oltre il 70% dei cittadini presenti sui social sono diventati ingegneri delle costruzioni, architetti, fisici, tecnici alla manutenzione. Proprio come spesso accade quando diventiamo milioni di allenatori della nazionale di calcio, milioni di giudici quando si parla di una sentenza, milioni di statistici quando si parla di flussi demografici, milioni di scienziati e ricercatori medici quando si parla di vaccini, e potrei andare avanti all’infinito. Finalmente il sipario sembra essere calato (almeno temporaneamente) anche per la politica, come quando il teatro mediatico si interruppe durante i funerali per le vittime del terremoto del 24 agosto 2016, quello che distrusse Amatrice, Accumoli e Aquara. Lo stesso accadde per i funerali delle oltre 300 vittime del terremoto de L’Aquila – il 6 aprile 2009, o per il sisma del 31 ottobre 2002 in Molise, dove a San Giuliano persero la vita 27 bambini. Ogni volta è un teatro che non ha contezza né rispetto, ma avanza imperterrito nel tentativo, da parte di ognuno, di seguire una strategia del consenso (elettorale, commerciale, mediatico). Provando a mettersi da parte guardando l’Italia da lontano, sembra quasi di vedere una situazione cristallizzata che si ripete, poi di nuovo e si ripete ancora in uno schema fisso: “sciagura – polemiche – caccia al colpevole – reciproche accuse politiche – richiesta di teste – FUNERALE – affievolirsi negli anni delle polemiche che però restano pur sempre tali – nuova sciagura” (e poi via col nuovo giro di giostra).
Ho trascorso molto tempo in silenzio a guardare la foto del Ponte Morandi spezzato a metà. E mi chiedo a quanti altri siano venute in mente le immagini del Ponte di Brooklyn crollato, che abbiamo visto in tanti film di fantascienza. Film e fantascienza. Ecco, ora che finalmente è calato il silenzio, è questo il pensiero che si attanaglia nella mia mente, il motivo per cui vi propongo questa immagine. Una è la scena che abbiamo visto in film come “Io Robot”, “Batman”, “Io sono leggenda”. L’altra è realtà.
Abbiamo provato a fermarci e interrogarci seriamente sul fatto che le immagini di Genova siano realtà? Il ponte di Brooklyn, un’opera maestosa su cui viaggiano migliaia di persone ogni giorno, nei film è sempre crollato per guerre, isolamento forzato della città causa virus mortali, calamità naturali di immani dimensioni, abbandono del ponte dopo migliaia di anni nel futuro. Ma il ponte Morandi? Non è crollato per la scena di un film, ma “semplicemente” perché era lì, a svolgere la sua funzione, la stessa che svolgono tutti i ponti, compreso quello di Brooklyn, quando non ci sono set cinematografici in azione: quella di stare in piedi e consentire il passaggio di migliaia di viaggiatori. La normalità diventa “sciagura, tragedia, dramma”, ciò che vediamo nei film per “cause di forze maggiori”. Mi chiedo se forse non sia arrivato il momento di finirla di essere il Paese della teatralità, l’unico elemento che trova centralità in tutti i nostri dibattiti pubblici, che tiene tutti distrattamente impegnati, mezzi di informazione, amministratori e amministrati. La costante ricerca della teatralità è così radicata che a lungo andare, invece di concentrarsi su ciò che sarebbe “normalmente” prioritario nella realtà, ci ritroviamo dinanzi a scene che credevamo possibili solo al cinema, in una finzione multimediale del teatro.
Quanto vorrei vedere un nuovo schema in questo paese, in cui purtroppo/per fortuna sono nato. Uno schema nel dibattito pubblico che, anche grazie ai social e ai nuovi mezzi di diffusione, fosse caratterizzato da un nuovo andamento: “pareri tecnici – dati storici e attuali – interventi necessari – costi richiesti ma anche risparmi ammortizzati – politiche necessarie negli anni – tempistiche – provvedimenti correlati da prendere – costi e benefici della società – sacrifici richiesti per disagi inevitabili ma necessari”. Un nuovo schema, che nelle TV, sui giornali, alle radio, provasse anche a istruire e sensibilizzare tanti noi cittadini, aiutandoci ad arginare insensibilità e incompetenze sempre più diffuse. Due ingredienti sociali succulenti per quei personaggi politici che lavorano di pancia e preferiscono non chiudere una strada, non demolire un’opera, non manutenere, perché altrimenti tanti di noi cittadini potrebbero disapprovare, lamentandosi annoiati del disagio temporaneo. Ma poi, piangiamo… Pronti, una volta asciugate le lacrime e spenti i riflettori, al nuovo giro di giostra.
Marco Giordano