Emanuela Marmo: la prima Papessa della Chiesa Pastafariana
Irriverente, spinta, spregiudicata, grottesca, a volte piace e a volte no, quando si capisce davvero di che pasta è fatta. Spesso ti rifiuta e gli uomini di poca spina dorsale rifiutano lei perché non sanno accettarne la schiettezza. E’ la satira.
Parliamone con Emanuela Marmo, laureata in Lettere, nel campo della satira con una tesi sulla rivista inglese di satira politica “Private Eye”, esplorando i suoi rapporti con l’informazione, il potere, la religione, la società. Attualmente ricopre per la terza volta la “funzione di massima guida spirituale per la comunità dei fedeli pastafariani e di rappresentante della Chiesa Pastafariana Italiana“.
Emanuela Marmo ha ideato e diretto due Festival internazionali della Satira a Salerno, ospitando nella prima edizione Sabina Guzzanti, Dario Vergassola, David Riondino, Massimo Bucchi e nella seconda Vincino, Corax, Oreste Zevola, «Le canard enchaine», Alì Farzat, «Private Eye», Branko Najhold, direttore del Museo della caricatura di Zemun [Serbia], nonché Filippo Giardina, Mauro Fratini e Andrea Rivera. Conduce una rubrica radiofonica sulla satira all’interno della trasmissione “Santi e Briganti” in diretta su Radio Base.
Emanuela raccontaci un po’ del tuo percorso, da dove inizia e come ti sei avvicinata a questo campo.
La satira sconfiggeva tutti i momenti di noia in classe. Le ore di matematica, chimica, biologia erano trascorsi fisicamente in classe, ma mentalmente ero altrove. In quei momenti c’erano le vignette satiriche e i personaggi di Guzzanti. Poi, all’università, al mio ultimo corso di Lingua e letteratura inglese, ho avuto modo di conoscere il giornale “Private Eye” grazie al mio professore. Quell’argomento mi piacque tantissimo, tanto da convincermi ad affrontarlo nella mia tesi. In quell’occasione ho anche conosciuto Massimo Bucchi e Daniele Luttazzi, quest’ultimo solo telefonicamente e per e-mail. Ho intervistato entrambi, e così sono riuscita a farmi un’idea ancora più precisa di cosa sia la satira.
A proposito di questo, parliamo di satira e tempi moderni. Come si è adattata al repentino evolversi dell’informazione, dei suoi canali ma anche dei suoi destinatari?
Diciamo che la satira cerca rapporti con la massa da sempre, fin da quando inizialmente era un rito di invettive purificatorio. Negli ultimi anni è cambiata grazie all’avvento dei social network.
Inizialmente è sbarcata sulla stampa cartacea attraverso le vignette e la caricatura, strumenti di distruzione e demistificazione delle icone. Oggi utilizza la velocità dei social, l’immediatezza dei video, abbandonando un po’ il situazionismo e le sue tradizioni teatrali.
Chi fa satira (il satiro) mette in ridicolo figure di spicco, ponendosi dalla parte del “giusto”. Ma con quale autorità?
Con nessuna autorità. Con una presunzione di autorità, che è un movente. La satira non è altro che un modo di esprimere dei concetti; questi concetti sono aggressivi, individuano un nemico che può essere una persona fisica, una classe sociale, un concetto o un’idea, e nei confronti del nemico sviluppa un messaggio comunicato e trasmesso attraverso diversi strumenti artistici. Strumenti che possono essere la parola, il disegno, la musica.
Un poeta che parla di amore, con quale autorità parla di amore. Chi ha la competenza a parlare di amore di fede o di religione? Nessuno, c’è sempre una presunzione. Io presumo di conoscere una cosa e sento di aver diritto a parlare. Quindi più che di autorità parlerei di diritto al parlare: parlo con i miei strumenti.
Ma chi può fare satira? Nelle mani sbagliate non potrebbe servire scopi tutt’altro che pedagogici?
Certo, la satira ha generato mostri. La satira è già stata nelle mani sbagliate: ad esempio durante il nazismo, la satira di regime era feroce. C’è comunque da considerare che si tratta di un’arte molto persuasiva. Mentre il poeta o la danzatrice a volte esprimono semplicemente delle emozioni, il satirista porta un messaggio ed ha comunque l’intenzione di cambiare la mentalità delle persone che lo stanno seguendo. Questo è possibile perché un pubblico non specializzato e poco informato non ascolterebbe una persona specialista e competente, ma darebbe credito e molta più attenzione verso un ragionamento esposto con immagini ludiche e simpatiche.
Che peso ha secondo te la satira all’interno dell’informazione italiana?
Oggi in Italia non ha un peso tale da riuscire a orientare l’atteggiamento politico delle persone, se parliamo proprio in termini elettorali. Tuttavia, ricopre un ruolo nell’informazione non indifferente. Il comico riesce a prendere due parti di pubblico che sono disinteressate all’informazione convenzionale, ovvero: le persone che non vogliono sapere dei guai che ci sono nel resto del mondo, perché sono troppo coinvolti dai propri e si sentono abbandonati dalle istituzioni; oppure quelle estremamente competenti che conoscono i problemi attuali, ma non credono più all’attendibilità e alla rispettabilità dei politici, o di chi per loro, e quindi ascoltano il comico e non più il giornalista.
ovviamente il riferimento è alle copertine di Ballarò o comunque lo spazio di satira nei talk-show, giusto?
Io cambio canale quando vedo che il comico diventa amico delle persone di cui sta raccontando le magagne. Posso apprezzarne la bravura nel costruire gli sketch, però lì per me l’effetto di satira è morto perché le cose su cui sta informando non risultano più gravi. La risata della satira è cattiva, è una risata che punisce. Se invece diventa una risata che ti asseconda viene a mancare il senso di ridicolo dell’ingiustizia e della corruzione da consegnare al pubblico.
Nell’ultimo incontro dell’8 ottobre qui all’Eco Bistrot, dedicato alla satira giornalistica, hai parlato delle differenze tra satira “europea” e satira nei paesi arabi, affermando che nel secondo caso è molto più incisiva. Perché questa differenza? In Italia, per fare un esempio, dovrebbe essere più facile fare satira che in Egitto o in Siria.
In Italia non c’è la censura che c’è invece nei paesi citati, quindi la posizione del satirista è un’opinione tra le tante.
Nei paesi arabi la satira è una scelta morale e di vita, può essere molto più invasiva, perché lì c’è una censura vera. Fare la caricatura del re o del capo dello stato è un reato. Quindi il satirista che lo fa sta ponendo di fronte alla propria convenienza un obiettivo sociale, e il seguito delle persone non è semplicemente l’adesione ad un’opinione, è un atteggiamento politico. Lì per coinvolgere il pubblico non c’è affatto bisogno di arrivare al forte shock attraverso la creazione di interi film, non c’è nemmeno il tempo per realizzare colossal come “Il Divo” di Sorrentino. Basta una vignetta per avere le mani fratturate, per finire in galera o per vedere la redazione chiusa. Si tratta di due situazioni completamente diverse.
E a Salerno…?
A Salerno non lo so, io metto piede nella mia città per la prima volta dal 2008. A volte vengo qui per trovare mio padre o la mia sfera di affetti ma professionalmente manco da 4 anni.
per scelta?
No, ovviamente no. Non si lascia la propria città per scelta. Si lascia la propria città perché diventa ostile oppure perché è sterile. Quando poi si verificano entrambe le cose ti passa proprio la voglia di insistere. Per ora mi sono dedicata a progetti più piccoli, poi si vedrà.
24 ottobre 2014
Marco Giordano
in collaborazione con il dott. Raffaele Ciccone